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Man And the Biosphere - MAB

Il Comitato Consultivo sulle Riserve della Biosfera del Programma MAB (Man and Biosphere) dell'UNESCO, nella riunione tenutasi a Parigi tra il 9 ed il 10 giugno del 1997, ha inserito all'unanimità nella prestigiosa rete delle Riserve della Biosfera il Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano.

Nel Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano ricadono 28 Siti di Interesse Comunitario (SIC), istituiti ai sensi della Direttiva 92/43/CEE (Direttiva Habitat) e 8 Zone di Protezione Speciale, istituite ai sensi della Direttiva 79/409/CEE (Direttiva Uccelli), tutti ricadenti nella Regione Biogeografica Mediterranea. La Rete Natura 2000 occupa una superficie di 118.316 ha, pari al 65% di quella dell’intero Parco e sarà gestita mediante i relativi Piani di Gestione, allo stato, in corso di completamento.


LONTRA - Lutra lutra
La lontra è la regina dei fiumi dei Cilento. È un carnivoro semiacquatico legato alle acque correnti  che trova nel nostro Parco una delle aree maggiormente vocate essendo presente in tutti i suoi fiumi. In Italia era originariamente diffusa in tutta la penisola, ma attualmente risulta confinata lungo alcuni corsi d’acqua che si estendono tra Campania, Basilicata, Molise, Puglia e Calabria settentrionale.
Ha morfologia adattata all’ambiente acquatico: corpo allungato, di colore bruno sul dorso e sulle zampe e nocciola-bianco sul ventre, sul petto e sulla gola, con pelliccia spessa e impermeabile; le zampe sono corte ma robuste, con piedi palmati, la coda è larga e piuttosto schiacciata. Le orecchie sono piccole e, come le narici, si chiudono quando l'animale si immerge; gli occhi, anch'essi piccoli e rivolti in alto, sono ben adattati alla visione subacquea; il muso è dotato di vibrisse che permettono di individuare la preda in acque torbide o nell'oscurità notturna.
Territoriale, è molto elusiva e conduce vita solitaria. Sul terreno non appare molto agile, mentre nell’acqua mostra sia una straordinaria abilità nella velocità del nuoto sia una notevole capacità di immersione. Può infatti rimanere sott’acqua fino a 7-8 minuti e raggiungere profondità di 9-15 metri. Oltre a disporre di una tana eletta a dimora fissa, scavata direttamente sulle sponde degli specchi e dei corsi d’acqua, possiede più rifugi temporanei.
La sua dieta è costituita prevalentemente da pesci, ma non disdegna di nutrirsi di anfibi, crostacei e addirittura rettili, a seconda della risorsa alimentare.
L’habitat è costituito da fiumi, ruscelli e laghi di montagna fino ad un’altitudine superiore ai 2000 m s.l.m., paludi, lagune, estuari e foci dei fiumi, canali di irrigazione e bacini artificiali, ove vi sia una buona alternanza di acque più o meno profonde, calme e correnti, con una buona disponibilità di pesce e abbondante vegetazione.


LUPO  APPENNINICO - Canis lupus italicus
Il Lupo appenninico è una sottospecie indigena della penisola italiana.
Ha corpo slanciato, muso allungato, orecchie triangolari non molto lunghe, collo relativamente corto, coda corta e pelosa e arti lunghi e sottili. Il suo peso può variare dai 25 ai 40 kg. Il colore del mantello è mimetico, gli occhi sono obliqui, di colore marrone chiaro, e disposti in posizione frontale e piuttosto
distanziati tra loro. Caratteristica della specie è la presenza dei denti "ferini" particolarmente sviluppati la cui funzione sembra essere quella di tranciare grosse ossa e tendini.
Territoriale, vive in branchi che corrispondono essenzialmente ad un’unità familiare. La struttura sociale di un branco non è rigida e si possono determinare inversioni delle posizioni gerarchiche. Tutti i componenti del branco cacciano e difendono il territorio in maniera integrata e coordinata. Eccellente corridore, in genere durante le ore notturne compie spostamenti anche di alcune decine di chilometri.
Si nutre di varie specie di mammiferi selvatici (cinghiale, capriolo) e domestici (pecore, capre, vitelli e puledri). In condizioni di scarsa disponibilità delle prede abituali può anche sfruttare piccoli mammiferi, frutta, insetti e rifiuti.
In Italia frequenta le zone montane densamente forestate. Nonostante il numero di lupi in Italia abbia mostrato negli ultimi decenni un costante e progressivo aumento, la specie resta minacciata per la limitata consistenza complessiva della popolazione presente nel paese.
Nel Parco sono presenti sicuramente 3 branchi che orbitano tra il Massiccio del Cervati e i Monti Alburni, a cui si aggiungono almeno 3 coppie e un numero di individui solitari molto variabile.
Diffuso nell’intera penisola fino alla metà del 1800, ha subito una forte persecuzione da parte dell’uomo e all’inizio del 1970 risultava presente solo in pochi e frammentati comprensori montani dell’Appennino centro-meridionale. Negli ultimi decenni del XX secolo ha nuovamente espanso il proprio areale diffondendosi in tutta la catena appenninica.
 

LEPRE ITALICA - Lepus corsicanus
La Lepre italica è stata confermata come nuova specie solo di recente (nel 1999)
Ha dimensioni minori rispetto alla lepre europea: ha aspetto è più slanciato, con zampe posteriori e soprattutto orecchie proporzionalmente più lunghe.
Prudente e sospettosa, ha tendenze solitarie ed appare piuttosto legata al proprio territorio, dal quale non si allontana sensibilmente se non vi è costretta dall’eccessivo disturbo. Possiede udito e olfatto molto sviluppati, ma ha vista poco acuta. Corre molto velocemente con improvvisi scarti ed è capace di compiere lunghi salti. Trascorre il giorno al riparo della vegetazione in un covo poco profondo che scava con le zampe anteriori e modella col corpo, mentre si fa attiva al crepuscolo durante la notte.
Si nutre di erbe fresche e secche, frutta, semi, funghi, ghiande, germogli di cereali invernali, cortecce.
Sembra preferire gli ambienti ove si alternano radure (anche coltivate), zone cespugliose e boschi di latifoglie.
L’areale della specie ha subito una sostanziale contrazione accompagnata da una sensibile riduzione di densità delle popolazioni.
Attualmente nell’Italia peninsulare sono state individuate popolazioni localizzate in Calabria, Basilicata, Campania, Puglia, Molise, Abruzzo, Lazio e Toscana, mentre in Sicilia è diffusa un po’ ovunque.
Nel nostro Parco è presente con nuclei isolati sui Monti Alburni, sul Massiccio del Cervati e sul Monte Gelbison.


GATTO SELVATICO - Felis silvestris
Il gatto selvatico è un carnivoro di medie dimensioni (mesocarnivoro) che raggiunge 1,20 metri di lunghezza compresa la coda, di 35 cm; ha un corpo robusto molto agile, testa corta e rotondeggiante, zampe forti e lunghe, specialmente quelle posteriori, coda tronca all'estremità e di grossezza uniforme. Il pelo è folto e morbido, di colore grigio-fulvo, più chiaro sul ventre, con fasce trasversali scure sul dorso; alcuni anelli nerastri ornano la coda, che termina con un cappuccio nero.
Territoriale ed elusivo, conduce vita prevalentemente solitaria. Ha vista, udito e olfatto sensibilissimi. È attivo in particolare durante la notte e nelle ore diurne si rifugia in ceppaie, cavità degli alberi, anfrattuosità delle rocce o tane abbandonate di altri animali (tassi, volpi, istrici). Caccia all’agguato sia sul terreno che sugli alberi. È un carnivoro altamente specializzato, preda roditori, lepri, conigli e, più di rado, uccelli, rettili, anfibi e invertebrati.
Vive nelle foreste, in particolare di latifoglie, di cui può essere considerato un indicatore della qualità ambientale. Tende ad evitare le aree ad elevate altitudini, probabilmente in relazione all’innevamento, che può costituire un ostacolo alle attività di spostamento e di caccia.
È presente in tutta l’area centro-meridionale della penisola, in Sicilia ed in Sardegna, con una distribuzione comunque molto frammentata. Pare comunque essere in calo in tutto il suo areale, probabilmente a causa della frammentazione degli ambienti forestali ed al generale disturbo provocato dall’uomo.


MARTORA - Martes martes
La martora è un carnivoro di medie dimensioni (mesocarnivoro) appartenente alla famiglia dei Mustelidi, come la Lontra; assomiglia molto alla faina, ma a differenza di quest’ultima la caratteristica macchia presente sulla gola e sul petto è più piccola e non è mai bianca, bensì gialla. È lunga circa 45 cm, a cui vanno aggiunti i circa 25 cm della coda. La pelliccia, folta e splendente, è bruna, mentre il muso ed il mento sono più scuri e la testa e le parti dorsali più chiare; le orecchie corte e rotondeggianti hanno il bordo bianco; la coda lunga e pelosa è molto utile sia nella corsa che nel salto perché funziona da stabilizzatore, mentre le zampe, avendo il quinto dito opponibile, le garantiscono una presa perfetta sugli alberi.
Territoriale, è attiva principalmente di notte, mentre nelle ore diurne si rifugia sugli alberi, utilizzando soprattutto in inverno le cavità dei tronchi poste anche a notevole altezza dal suolo. Assai agile e ottima arrampicatrice, caccia sui rami inseguendo le prede a notevole velocità e compiendo balzi acrobatici da un ramo all’altro, ma spesso cattura le proprie prede anche sul terreno. Si nutre di piccoli roditori e insettivori, più di rado di lepri, conigli e ratti; la dieta comprende anche frutta, invertebrati, uccelli ed in alcuni casi rifiuti.
Vive in foreste ad alto fusto di grande estensione e con scarso sottobosco, siano esse di conifere, di latifoglie o miste, dalla pianura alla montagna, dove si spinge fino a 2000 metri di altitudine. Frequenta anche zone a macchia molto fitta, mentre in genere è assente dalle aree prive di copertura arborea ed evita gli insediamenti umani e le aree circostanti.
È presente nelle aree forestali di tutta la penisola con una distribuzione comunque molto frammentata. Pare comunque essere in calo in tutto il suo areale, probabilmente a causa della frammentazione degli ambienti forestali ed al generale disturbo provocato dall’uomo.
 

CAPRIOLO ITALICO - Capreolus capreolus italicus
Il capriolo italico, presente al centro-sud Italia, è stato confermato come nuova specie distinta dal Capriolo europeo solo di recente, all’inizio degli anni duemila.
È un ungulato con palchi corti, in genere con 3 punte per lato nei soggetti adulti. Il corpo è di un colore tra il rosso ed il marrone, il muso verso il grigio.
È attivo sia di giorno che di notte a seconda delle circostanze e delle stagioni. Agile nel salto e veloce nella corsa, possiede vista acuta e odorato ben sviluppato. Le femmine ed i giovani conducono vita gregaria in piccoli gruppi guidati da un esemplare adulto, mentre i maschi restano appartati tranne che durante la stagione invernale. I maschi sono strettamente territoriali da maggio ad ottobre.
Il capriolo si nutre di erbe, germogli, foglie, frutti selvatici, funghi, cereali verdi, cortecce.
Vive in territori di pianura, collina e media montagna con alternanza di ambienti aperti a vegetazione erbacea boschi di latifoglie. Tuttavia si adatta a situazioni ambientali diverse, dalle foreste pure di conifere alla macchia mediterranea.
Nel nostro Parco il capriolo era presente fino agli anni ’50 del secolo scorso, dopo i quali si è estinto per cause di natura antropica. L’Ente Parco a partire dal 2005 ha avviato azioni di reintroduzione utilizzando circa 20 esemplari di Capriolo italico, rilasciati nell’area del Massiccio del Cervati, da cui poi si sono distribuiti anche verso il Monte Gelbison e in parte dei Monti Alburni.


COTURNICE - Alectoris graeca
La coturnice è un Galliforme esclusivo dell’Europa centro orientale. Ha una maschera facciale tipica, con un’evidente stria nera che descrive un collare dal becco fino alla sottogola attraverso la regione oculare; le guance e la gola sono bianche. Il becco e il cercine oculare sono rossi mentre le zampe possono variare dal rosa al rosso corallo. Queste ultime, robuste e forti, rivelano le abitudini rupicole di questo uccello. La coda mostra un piumaggio bicolore con area centrale grigia e timoniere esterne rossicce.
È una specie gregaria che alterna stagionalmente ritmi di organizzazione sociale che vanno dalla brigata (da uno o più nuclei familiari cui possono associarsi individui singoli non accoppiati) alla coppia. Più brigate possono unirsi in stormi di 15-50 individui.
In primavera i gruppi si sciolgono e i membri si distribuiscono sul territorio alla ricerca di siti idonei per la nidificazione, che avviene a terra. I maschi diventano solitari e territoriali. È una specie prevalentemente monogama, anche se possono riscontrarsi casi di bigamia o di sostituzioni nell’eventualità che uno dei due della coppia muoia.
Gli alimenti tipicamente consumati sono piante erbacee ed arbustive, parti di queste come punte di foglie, germogli, boccioli, frutti e semi, ma durante il periodo riproduttivo la dieta è arricchita da insetti e larve che forniscono un importante apporto proteico, soprattutto per le femmine e per i giovani nati.
Il suo carattere elusivo e il suo perfetto mimetismo rendono non facile l’incontro con questo galliforme. Abile camminatrice, vive in ambienti di praterie montane con roccia affiorante; si sposta sui versanti rocciosi, tra scarpate e dirupi. Raramente scende sotto i 900 metri; pur essendo una specie di montagna, non è attrezzata alla presenza di neve; si ritrova più facilmente sui versanti assolati esposti al Sud, con minore umidità e temperature più miti. Nei periodi più rigidi dell’inverno può spingersi nelle zone a valle alla ricerca di cibo.
Nel nostro Parco sono presenti le uniche popolazioni autoctone di Coturnici della regione Campania. Tali popolazioni sono presente in nuclei isolati sui Monti Motola, San Giacomo, Faiatella, Alburni, sul Massiccio del Cervati.


AVERLA PICCOLA - Lanius collurio
L'Averla piccola è un uccello di dimensioni medio-piccole, la cui lunghezza dalla punta del becco alla punta della coda è di 16-18 cm.
In questa specie è presente un marcato dimorfismo sessuale. Il maschio adulto ha vertice e nuca grigio cenere chiaro, mantello marrone rossastro, gola bianca, parti inferiori rosa chiaro senza barrature, sopraccoda grigio e coda nera con lati della base bianchi. Ha, inoltre, un'evidente mascherina nera, che si estende dal becco oltre l’occhio. La femmina adulta presenta un piumaggio meno appariscente, con vertice marrone o bruno-grigio, nuca più grigia, mantello marrone meno vivido del maschio, sopraccoda grigiastro e coda marrone scuro con stretti margini bianchi. Il giovane è piuttosto simile alla femmina, ma presenta parti superiori più uniformi e rossastre, con una più marcata squamatura.
Territoriale, forma coppie sparse o isolate, localmente raggruppate nelle aree favorevoli.
È una specie prevalentemente insettivora, prediligendo gli invertebrati di grandi dimensioni, soprattutto Coleotteri, Ortotteri e Imenotteri. Occasionalmente cattura anche piccoli vertebrati, come piccoli mammiferi (ad esempio toporagni e arvicole), uccelli (soprattutto nidiacei e giovani), anfibi e piccoli rettili.
È una specie particolarmente legata ai pascoli e agli ambienti mantenuti dalle attività agricole tradizionali, occupa infatti aree aperte e semi-aperte come praterie arbustate, ampie radure, prati stabili, incolti e coltivi non intensivi, occasionalmente anche vigneti ed oliveti. Nidifica in ambienti aperti, incolti o coltivati, con abbondante presenza di siepi, cespugli, alberi sparsi e posatoi per la caccia (fili, pali, ecc.). Abita le zone a clima temperato, mediterraneo e steppico a partire dall’isoterma di 16°C a luglio.
Nidifica in tutta Europa e trascorre l'inverno in Africa centro-orientale e meridionale.
In Campania è migratrice nidificante. La distribuzione in periodo riproduttivo è ampia e interessa l’intero territorio regionale, laddove sono presenti gli habitat idonei, ed è più frequente nella fascia altitudinale compresa tra i 400 ed i 1000 m.
L'Averla piccola è in diminuzione in tutta Europa, compresa l'Italia, con contrazione di areale ed estinzioni locali. La distruzione ed il deterioramento dell'habitat vengono considerate le principali cause di declino dell'Averla piccola in Europa. In particolare fra le cause di declino delle Averle vi è l'abbandono dell’agricoltura e della pastorizia nelle zone montane, con conseguente crescita della vegetazione spontanea, e successivo imboschimento delle aree prative e coltivate. Anche un’agricoltura intensiva condotta con metodi non tradizionali porta alla diminuzione degli ambienti idonei alla specie.
Tutte le averle sono infatti indicatori degli ambienti agricoli tradizionali, importanti per mantenere una mosaico ambientale formato da aree aperte, cespugliate e boschive.
A questo si aggiunge la perdita della biodiversità, e quindi di prede, in molte aree rurali a seguito dell'uso di prodotti chimici in agricoltura. Si sospettano anche problemi climatico-ambientali nelle aree di svernamento e sosta migratoria africane.


AVERLA CAPIROSSA - Lanius senator
Leggermente più grande dell'Averla piccola e con capo più grosso, ha una lunghezza dalla punta del becco alla punta della coda pari a 17-19 cm.
Scarso dimorfismo sessuale, con vertice e nuca rossicci, fronte e maschera oculare nere, parti superiori scure con spalle e groppone bianco, parti inferiori chiare, coda scura con bordi bianchi. La femmina ha un piumaggio generalmente più spento del maschio, con mantello marrone-grigio scuro anziché nero, e maschera facciale meno definita e più brunastra. Il giovane è marroncino con vermicolature grigie su dorso, petto e fianchi.
È una specie territoriale che forma coppie sparse o isolate. Vi è fedeltà al sito riproduttivo, più evidente nei maschi.
Preda principalmente Coleotteri ed Ortotteri, ma si nutre anche di altri tipi di insetti e di ragni, lombrichi e lumache. Occasionalmente cattura anche piccoli vertebrati, come topi, arvicole, lucertole, rane, nidiacei e giovani uccelli o adulti debilitati.
Specie tipica dei climi mediterranei e steppici. Nidifica in zone aperte pianeggianti e collinari, secche e soleggiate, cespugliate e alberate, incolte, coltivate in modo tradizionale o a pascolo; localmente in oliveti, vigneti tradizionali, frutteti, macchia mediterranea, parchi e giardini urbani e suburbani. 
L'Averla capirossa, come tutte le Averle, sta vivendo un trend fortemente negativo, con contrazione di areale ed estinzioni locali. Anche in Campania negli ultimi decenni si è assistito ad un lento e costante declino, con scomparsa da diverse località. Fra le principali cause di declino c'è la perdita di habitat derivante dall'intensificazione dell'agricoltura, con una conseguente perdita di siepi ed arbusti, dall'imboschimento spontaneo o artificiale, dall'abbandono delle aree rurali collinari e montane. A questo si aggiunge la perdita della biodiversità, e quindi di prede, a seguito dell'uso di prodotti chimici in agricoltura. Costituiscono una minaccia anche il freddo prolungato e le piogge persistenti nel periodo tardo primaverile-estivo, ed i problemi climatico-ambientali nelle aree di svernamento e sosta migratoria africane.


AVERLA MAGGIORE - Lanius excubitor
È la più grande delle averle osservabili in Europa, con una lunghezza dalla punta del becco alla punta della coda pari a 21-26 cm. Simile all'Averla cenerina se ne differenzia, oltre che per le dimensioni maggiori, per le ali più corte, per le parti inferiori bianco-grigiastre anziché rosa e per la mascherina più ridotta, che si estende dal becco oltre l’occhio senza mai allargarsi su fronte e parte anteriore del vertice.
In Italia è nidificante occasionale, migratrice e svernante regolare. Nel meridione e nelle Isole è molto scarsa ed irregolare anche come migratrice e svernante.
In Campania è migratrice regolare e svernante con pochi individui prediligendo alcune aree interne della Regione.
In periodo invernale predilige ambienti aperti pianeggianti e collinari, coltivati o naturali, con presenza di posatoi dominanti, di frequente situati presso corsi d'acqua e zone umide.
Essendo un nidificante da confermare, la specie non è valutata dalla Lista Rossa dei Vertebrati Italiani.


AVERLA CENERINA - Lanius minor
Leggermente più grande dell'Averla capirossa, ha una lunghezza dalla punta del becco alla punta della coda pari a 19-21 cm. Sessi simili, con parti superiori grigio chiaro e parti inferiori rosa salmone pallido, ali nere con una macchia bianca alla base delle primarie, coda nera con lati bianchi. Un'evidente mascherina nera, ben contrastante con le guance bianche, attraversa l'occhio, allargandosi anche sulla fronte e la parte anteriore del vertice. Il nero della mascherina è generalmente più esteso ed uniforme nel maschio, più ridotto e chiazzato di grigio nella femmina. Il giovane è barrato sul vertice e sul dorso ed è privo di nero sulla fronte.
Coppie sparse o isolate, localmente raggruppate in colonie lasse. Fedeltà al sito riproduttivo e di nascita. Caccia in terreni aperti posandosi su alberi o, frequentemente, fili del telefono. Preda principalmente grossi insetti, perlopiù Coleotteri, ma anche piccoli vertebrati. 
Nidifica in ambienti aperti, pianeggianti e ondulati, incolti, coltivati in modo tradizionale o a pascolo, con alberi sparsi, filari alberati o boschetti. Più diffusa dal livello del mare fino a 200-300 m, con discrete presenze fino a 500-600 m. È meno adattabile delle altre Averle  all'antropizzazione degli ambienti agricoli.
L'Averla cenerina sta vivendo un trend variabile a seconda dei territori: decremento e contrazione di areale in alcune zone, fluttuazioni o stabilità in altre. In Campania è rara e localizzata, con piccole popolazioni vitali. La causa di declino è la perdita di habitat derivante dall'intensificazione dell'agricoltura, dall'imboschimento spontaneo o artificiale e dall'abbandono delle attività agro-pastorali tradizionali, a cui si aggiungono l'antropizzazione degli ambienti agricoli, l'uso di prodotti chimici in agricoltura e la pressione predatoria.


AIRONE BIANCO MAGGIORE - Casmaderius albus
Airone molto elegante e di grandi dimensioni, con collo, becco e zampe molto lunghe, ha apertura alare che può raggiungere anche i 180 cm. Le dimensioni e il piumaggio completamente bianco rendono questa specie facilmente identificabile. Il becco è giallo e le zampe sono grigio scure.
Ha un volo lento e, come tutti gli altri aironi, assume un caratteristico profilo con collo a “S”.
I sessi sono simili. È terragnolo e di rado si posa sugli alberi. Predilige le zone umide con preferenza per estesi acquitrini.
Questo uccello caccia le sue prede in acque sia alte che basse e cattura prevalentemente pesci, ma anche insetti, anfibi e rettili; occasionalmente si nutre anche piccoli mammiferi o nidiacei.
Nidifica nelle zone palustri con presenza di fitti canneti, per il resto dell’anno è presente in diversi tipi di zone umide. Rispetto agli altri aironi, frequenta più spesso habitat terrestri come i campi arati.
Presente tutto l'anno, nidifica nel nord Italia; in inverno si può osservare più o meno in tutta la penisola, in particolare nelle pianure alluvionali.
In Campania è una specie prevalentemente migratrice, ma a partire degli anni ’80 del XX secolo si è cominciato ad osservare lo svernamento anche nella nostra Regione.
In provincia di Salerno la sua presenza è andata crescendo e attualmente si registra una media di 47 esemplari per anno.


PICCHIO NERO - Dryocopus martius
È il picchio più grosso tra quelli europei. Il piumaggio è interamente nero; l'unica parte rossa è la striscia sulla testa, che nel maschio parte dalla base del becco e si prolunga oltre l'occhio, mentre nella femmina è più corta ed è presente solo nella parte posteriore.
Come gli altri picchi possiede zampe zigodattili (due dita rivolte in avanti e due posteriormente) e una coda rigida, adattamenti che gli consentono di arrampicarsi sui tronchi verticali.
Vive in vasti boschi di montagna con presenza di grandi alberi di Faggio, Abete bianco o Larice per la costruzione dei nidi e per la presenza di insetti lignicoli di cui si nutre.
Infatti la dieta si basa su insetti adulti e larve estratte dal legno; si nutre anche a terra di formiche.  Ha un udito molto sviluppato che gli consente di sentire gli insetti all’interno di un tronco. Con il robusto becco fa un buco nel legno per catturare gli insetti che raggiunge con la sua lingua lunga e appiccicosa.
Il Picchio nero nidifica preferibilmente su faggi, il nido è un foro di forma ovale di circa 12 cm di diametro.  La presenza di questo picchio nei boschi favorisce la nidificazione di altre specie che depongono le uova nelle stesse cavità scavate dal picchio.
Sedentario e nidificante in alcune aree interne della Regione Campania; attualmente è accertata la nidificazione sui monti del nostro Parco (Monti Alburni, Gelbison, Cervati) e su quelli del Parco Regionale dei Monti Picentini e nella riserva regionale Monte Marzano-Eremita.
Per la conservazione della specie, già minacciata dal fatto di essere presente con piccoli nuclei isolati, è fondamentale preservare alberi, in particolare modo faggi, dal diametro non inferiore al metro.


CERVONE - Elaphe quatuorlineata
È il più lungo serpente italiano ed uno tra i più lunghi d'Europa. La sua lunghezza può variare dagli 80 ai 240 cm, anche se raramente supera i 160. È di colore bruno-giallastro con le caratteristiche quattro barre scure longitudinali.
È una specie diurna, terricola e, a volte, arboricola, diviene attiva da aprile a settembre. Generalmente, trascorre la latenza invernale in vecchie tane di micro-mammiferi.
Si nutre di micro-mammiferi, rettili, piccoli uccelli e le loro uova. I giovani si cibano di sauri, piccoli roditori e insetti.
Frequenta boschi radi e ambienti di macchia mediterranea, al limite di radure, praterie e boscaglie. È rinvenibile anche presso sentieri, edifici abbandonati e margini di coltivi. Predilige siti con abbondante presenza di rifugi, anche temporanei. Meno frequentemente, abita zone adiacenti corsi d’acqua, stagni e paludi. Si ritrova in un intervallo attitudinale che va dal livello del mare a circa 1000 metri di quota.
La specie appare molto frequente in molte regioni dell’areale italiano, anche se in alcune aree risulta poco frequente. Le minacce per la specie, oltre alle uccisioni dovute soprattutto al traffico stradale, sono rappresentate dall’alterazioni ambientali, in particolare la distruzione della macchia mediterranea.


TRITONE CRESTATO ITALIANO - Triturus carnifex
Il Tritone crestato italiano è un anfibio urodelo, ossia un anfibio provvisto di coda allo stadio adulto.
Come tutti gli Anfibi presenta una fase acquatica (stagione riproduttiva e fase larvale) e una fase terrestre.
È il più grande tritone italiano, potendo raggiungere la lunghezza totale di 21 cm nelle femmine e 15 cm nei maschi, sebbene la lunghezza sia generalmente 10-15 cm, con femmine di maggiori dimensioni entro ogni popolazione.
Ha corpo robusto, testa grande e muso arrotondato. Le zampe sono ben sviluppate con dita sottili e allungate. Colorazione delle parti ventrali dal giallo vivo, all’ocra, all’arancio o più raramente al rosso, con varia disposizione di grandi e irregolari macchie nere o scure, talvolta bordate di bluastro. Gola bruna o nerastra più o meno fittamente punteggiata di bianco. Iride giallastra scura o ocra. Il dimorfismo sessuale è più marcato nella stagione riproduttiva e la differenza più evidente è la presenza nel maschio di un’ampia cresta vertebrale che si estende dalla nuca all’altezza della cloaca, con margine nettamente dentellato.
La dieta, costituita prevalentemente da invertebrati acquatici, è considerata di tipo opportunista e generalista, ossia le prede del Tritone crestato italiano sono proporzionali alla loro disponibilità nell’ambiente. Tuttavia in habitat e condizioni particolari alcune popolazioni possono esibire una dieta altamente specializzata. È piuttosto adattabile a vari ambienti acquatici, prediligendo quelli permanenti e di medie e grandi dimensioni. Tuttavia rispetto ad altre specie di tritoni appare meno legato all’ambiente acquatico. Pur adattandosi ad un ampio intervallo attitudinale, le popolazioni sono maggiormente diffuse alle quote medio-basse. La ripresa delle attività dopo il periodo invernale è in funzione della latitudine e altitudine: tipicamente al Nord verso febbraio-marzo, mentre al centro e al Sud anche a dicembre.
È distribuito in Italia continentale e peninsulare. In Campania è considerato ampiamente diffuso ma localizzato, con una distribuzione attitudinale prevalentemente concentrata tra i 400 e gli 800 m ma con numerose segnalazioni anche nelle altre quote incluse le fasce più basse, essendo presente anche in aree prossime alla costa.
Nel territorio del Parco è distribuito prevalentemente sul massiccio dei Monti Alburni, dove si riproduce esclusivamente in ambienti artificiali, costituiti da antichi pozzi in pietra e peschiere, ma anche fontanili e abbeveratoi con profondità elevate.


ULULONE APPENNINICO - Bombina pachypus
L’ululone appenninico è un Anfibio anuro, ossia un Anfibio sprovvisto di coda nella fase adulta, ed è un endemismo dell’Italia peninsulare. Il nome prende origine dal verso dei maschi durante il periodo riproduttivo, un breve ripetersi di stili e sommessi “uh-uh-uh”, da cui il nome comune di Ululone.
Ha aspetto simile ad un piccolo rospo, con lunghezza massima di 6 cm ma mediamente tra i 3,5 e i 5 cm. Le parti superiori sono verrucose e di colore variabile dal grigio, al bruno-grigiastro e al brunastro, colorazione che gli permette un elevato mimetismo in pozze fangose. La colorazione ventrale è invece molto vivace, variabile da un vivido giallo limone fino ad un ocra acceso e cosparso di irregolari macchie nerastre spesso contornate di blu. Gli occhi sono sporgenti, l’iride è giallo brunastra o dorata e la pupilla è cuoriforme. Il dimorfismo sessuale è poco accennato, i maschi sono dotati di avambracci più lunghi e grossi che consentono loro di abbracciare la femmina durante l’accoppiamento.
Sverna in buche del terreno coperte di fango e riappare verso la fine di aprile. 
E' attivo di giorno e frequenta gli ambienti acquatici, anche di ridotte dimensioni come fosse e pozzanghere, dalle quali emerge solo con gli occhi e le narici, alla ricerca di piccoli insetti, molluschi e vermi.
Se molestato l’Ululone inarca il dorso mostrando la sgargiante colorazione del petto a scopo di ammonire eventuali predatori sulla sua scarsa appetibilità.
Vive prevalentemente nelle zone collinari ed in quelle di mezza montagna, di rado fino a 1.800 metri di altezza, ma talvolta lo si avvista anche nelle pianure. Frequenta non solo i pantani, ma si accontenta anche di piccolissime pozzanghere e di solchi pieni di acqua sulle strade di campagna. Di rado si allontana molto dalle acque.
La distribuzione nel territorio del Parco appare disomogenea e frammentata, con ritrovamenti in comprensori relativamente ristretti (Monte Motola, area tra Laurino e Monte Gelbison, porzione centrale dei Monti Alburni) e popolazioni isolate in aree costiere.
 


GAMBERO DI FIUME - Austropotamobius italicus
Austropotamobius italicus è una specie endemica italiana presente in tutta la penisola esclusa l’area nord occidentale, in cui è presente Austropotamobius pallipes,.
Viene soprannominato "Gambero dai piedi bianchi" per la caratteristica colorazione degli arti e del ventre, in contrasto col resto del corpo che si presenta dal bruno rossiccio fino al verde scuro, a volte con tinte più chiare vicine al giallastro.
Particolarmente tozzo e dal carapace robusto, può raggiungere gli 11–12 cm di lunghezza e i 90 g di peso. I maschi sono più grandi delle femmine.
Vive nei torrenti e nei ruscelli particolarmente ossigenati, con acqua corrente e limpida e fondali ricoperti di ciottoli o limo. Essendo un organismo a sangue freddo, predilige le acque fresche di circa 15 °C, sopportando al massimo la temperatura di 23 °C.
Si dimostra particolarmente aggressivo nella difesa del suo territorio e nelle lotte sessuali, come dimostrano le catture di esemplari con arti o chele parzialmente o totalmente mutilate.
È un animale tipicamente notturno. Presenta una dieta onnivora: si nutre di alghe, piante acquatiche, vermi, molluschi, larve di insetti. 
Nel territorio del nostro Parco è presente solo nel fiume Bussento. La sua presenza è un indicatore molto attendibile della salubrità e integrità dell'ambiente. Tuttavia la specie è considerata in pericolo: i fattori che più ne minacciano la sopravvivenza in Italia sono la competizione con specie alloctone e l’inquinamento organico e inorganico.


Charpenteria ernae
Questo mollusco è una specie endemica italiana e nel Parco è presente in una ristretta area nel Sud Est dei Monti Alburni.
È un Gasteropode terrestre e come tale presenta un corpo molle, umido, ricoperto da muco, distinto in capo, piede, mantello e sacco viscerale.
In genere i Gasteropodi sono provvisti di conchiglia; questa è una secrezione calcarea della superficie esterna del mantello, all’interno della quale l’animale può ritrarsi. La conchiglia ha funzione protettiva e contribuisce ad evitare il disseccamento dell’animale. In alcuni Gasteropodi la conchiglia può mancare o essere ridotta ad una sottile lamina esterna. Quando osserviamo un Gasteropode la conchiglia si orienta disponendo l’apice verso l’alto e l’apertura verso il basso, rivolta verso l’osservatore.
In Charpenteria ernae la conchiglia è sinistrorsa, in quanto lo sviluppo delle spire è avvenuto in senso antiorario; è molto slanciata, di colore violaceo marrone con striature bianche, papille e trattini biancastri, irregolarmente disposti che le conferiscono un aspetto leggermente macchiettato e presenta 11-13 spire. 
È una specie ermafrodita, in quanto alterna nel tempo la produzione di uova e di sperma.
L’animale ha il mantello di colore grigio scuro nerastro, con i tentacoli ed il piede più chiari.
Vive in ambienti calcarei, su rocce, e su pareti calcaree, con macchia mediterranea.
Non è nota la sua alimentazione, ma si presuppone che sia di nutra di licheni, microalghe e forse anche di altri molluschi.


Rosalia alpina
Questo insetto dalle grandi dimensioni ha aspetto inconfondibile.  Lungo tra 15 e 40 mm, si distingue a prima vista per la colorazione blu-grigio e blu-chiaro con macchie e bande nere contornate da una linea bianca: tale livrea gli permette di mimetizzarsi con il tronco chiaro dei Faggi e con i licheni azzurri che vi crescono sopra. Possiede lunghe antenne azzurre dotate folti ciuffi di peli neri all’apice. 
Si nutre di legno, vivo o morto, la larva in particolare si nutre solo di faggio e solo occasionalmente di tiglio, acero e castagno. La larva preferisce le parti legnose esposte al sole, dove scava gallerie nella zona superficiale del legno. Lo sviluppo si compie in genere in tre anni, negli alberi morti di recente o malandati, nei tronchi freschi abbattuti al suolo da poco o nelle parti morte di piante sane e anche in ceppi.
Gli adulti sono attivi di giorno nelle giornate soleggiate e compaiono ad inizio estate, in giugno-luglio, sugli stessi alberi in cui si è sviluppata la larva, sulle cataste di tronchi di faggio e anche su legname ammassato, dove si mimetizzano molto bene con la corteccia di faggio.
Abita boschi e foreste di latifoglie, in particolare faggete mature, fino a 2000 m s.l.m. ma può trovarsi anche a quote più basse (500-600 m s.l.m.)
Tra i fattori di minaccia vi è la distruzione dell’habitat (boschi maturi e naturali di faggio) a causa dell’abbattimento delle vecchie piante e rimozione dal bosco degli alberi morti o deperienti di faggio. Anche la raccolta indiscriminata per collezione degli adulti può essere localmente una minaccia.
In Italia è presente sull’intero territorio peninsulare e in Sicilia. Per la sua conservazione è prevista la salvaguardia delle grandi piante vetuste, morte o deperite di faggio e in generale di tutte le caducifoglie. Rilascio di legno morto, tronchi, grossi rami e ceppaie di faggio nelle foreste.


Primula palinuri
La Primula di Palinuro è il simbolo del Parco. A differenza delle altre primule, che vivono in regioni montuse e prediligono zone umide, la P. palinuri vive nelle fessure delle pareti rocciose, spesso a picco sul mare, lungo la costa che va da Capo Palinuro a Scario; alcune stazione di questa primula si trovano anche a Marina di Maratea (Basilicata), e nella parte nord della Calabria. La P. palinuri è un relitto glaciale: in antico passato geologico era ampiamente diffusa, ma dopo una glaciazione è quasi completamente scomparsa, e per sfuggire all'avanzare dei ghiacciai si è spostata verso sud ed è sopravvissuta solo dove ora è possibile trovarla. Un'altra caratteristica rende la P. palinuri unica: i suoi fiori gialli sbocciano  già a fine inverno e sono osservabili per tutto il mese di febbraio. La fioritura così precoce rende P. palinuri una delle poche specie a disposizione dei primi insetti impollinatori.


Genista cilentina
Questo arbusto ramoso dai bei e profumati fuori gialli, è un rarissimo endemismo del Parco. E' un elemento tipico degli arbusteti della macchia mediterranea; è specie adattata ai substrati rocciosi della serie del flysh del Cilento, ma è presente anche su substrati argillosi e sabbiosi. Le stazioni di maggior rilievo della specie sono quattro. Oltre al sito classico costituito da Punta del Telegrafo a Marina di Ascea e la zona costiera e collinare ad est di esso, vi sono l'area collinare a sud del paese di Pisciotta, l'area costiera e collinare fra le località di Caprioli e le Saline del paese di Palinuro, e la collina in località Zoppi tra i comuni di Montecorice e Serramezzana.


Soldanella sacra
Soldanella sacra A. & L. Bellino è un endemismo puntiforme del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Monti Alburni, diffuso unicamente sul Monte Sacro, o Gelbison, ed è l’unica specie del genere Soldanella ad oggi nota per il territorio del Parco. La specie si è differenziata dalla soldanella calabrese (Soldanella calabrella Kress) circa 380000 anni fa e occupa una nicchia ecologica unica nel suo genere. Soldanella sacra è associata infatti ad alvei a debole energia, rocce stillicidiose e risorgenze, sempre sotto copertura di latifoglie (castagno, ontano napoletano, faggio) che garantiscono adeguate condizioni di luce. Le stringenti esigenze ecologiche di questa specie, unite alla bassa variabilità genetica e all’esiguo numero di individui, raggruppati in 11 popolazioni note, rendono questa specie particolarmente vulnerabile, al punto da essere considerata come critically endangered secondo i criteri della IUCN, il che la rende una tra le specie maggiormente a rischio di estinzione nel territorio del Parco. Tra le minacce principali alla sopravvivenza di questa specie vi sono variazioni nella copertura vegetale, pascolo e distruzione dell’habitat, sia per cause naturali che antropiche, che rendono urgente l’applicazione di adeguate strategie di conservazione.


Minuartia moraldoi
Questa rarissima piantina è stata descritta come nuova specie solo di recente, nel 2001, dal botanico Fabio Conti, che l'ha dedicata al prof. Benito Moraldo, dalla cui collezione venivano i campioni da lui analizzati. Questa specie vive solo sul Monte Sacro, ad un'altitudine di 1600-1650 metri nelle fessure ed in piccole nicchie di pareti rocciose del flysch del Cilento, all'interno della faggeta. E' nota una sola stazione di questa pianta; quest'unica popolazione di M. moraldoi è costituita da circa 200 individui, distribuiti su due pareti verticali contigue, sottostanti il Santuario del Monte Sacro dedicato alla Madonna.

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